Consultando i fascicoli del Casellario politico centrale (Cpc) in cui sono archiviati i dati e i documenti relativi ai presunti sovversivi ed antifascisti incorsi nella repressione poliziesca e giudiziaria, salta agli occhi una ricorrente evidenza: centinaia di donne e uomini, "schedati" per le loro idee e il loro agire in contrasto con l'ordine costituito, sono stati privati della libertà, non solo in carcere o al confino, ma dentro strutture manicomiali.
In Italia il sistematico utilizzo del manicomio per reprimere, silenziosamente, gli oppositori e i fuori-norma era stato teorizzato nell'Ottocento dal criminologo riformista Cesare Lombroso e applicato dallo Stato liberale contro il nascente movimento operaio e contadino.
Durante il regime fascista la detenzione manicomiale venne praticata con logica totalitaria e disumana, nel tentativo di annientare le vite e le intelligenze non sottomesse, rinchiudendo e torturando i corpi delle persone libere nei lager della follia; poco importa se le loro r/esistenze durarono pochi giorni o un ventennio: tutte meritano d'essere degnamente considerate e tenute presenti come parte della rivolta contro l'insana normalità di ogni potere bio-politico.
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