«La pena carceraria non deve consistere in trattamenti contrari al senso di umanità», lo dice la Costituzione. Ma chi conosce la realtà del carcere non si chiede perché ogni anno un centinaio di detenuti muore, ma piuttosto perché altre migliaia decidono di resistere. Nonostante tutto.
Anche i media sembrano essersene accorti: in carcere si muore sempre più spesso. Per suicidio, per malori o «per cause da accertare», un modo elegante per non dire che si viene ammazzati.
Questo libro racconta una serie di storie di detenuti che non ce l’hanno fatta a uscire vivi di galera. Storie diverse per vita, cultura, convinzioni politiche. Storie che continuano a sbiadire in desolate udienze di solitari tribunali, dove sfilano testimoni, agenti, direttori, educatori, parenti, alla ricerca di uno scampolo di verità e di giustizia.
Storie come quella recente e allarmante di Stefano Cucchi, o di Niki Aprile Gatti, incensurato, ritrovato impiccato nel bagno della sua cella, con molti particolari poco chiari. O quelle di Stefano Frapporti, arrestato per una manovra errata in bicicletta, che si sarebbe anche lui impiccato in una cella dopo poche ore. Del sindaco di Roccaraso Camillo Valentini che non resse alla vergogna dell’arresto e decise di legarsi un sacchetto di plastica sulla testa; le accuse mossegli si rivelerono poi incosistenti. Del suicidio annunciato della brigatista rossa Diana Blefari. Del tunisino Ben Gargi che si è lasciato morire di fame e per il quale nessuno ha predisposto una legge per garantirgli un’alimentazione forzata. Di Aldo Bianzino, trovato morto nella sua cella a Perugia, con una profonda lesione al fegato, a detta del magistrato «provocata dalle manovre di rianimazione dopo l’arresto cardiaco».
Introduce il libro un’approfondita analisi, ricca di dati e documentazione, sulla complessa realtà carceraria italiana.
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